16.12.2012 - Rock’n’roll, “diavoleria” americana

Ernesto Razzano intervista Enzo Cioffi

Cambia la musica nell’Italia che decolla. Società, giovani e sound dagli anni ’50 al ’68, è il libro scritto da Enzo Cioffi. E’ un lavoro concepito nel suo intreccio necessariamente inestricabile tra ambito storico, sociologico, e musicale, con lo sfondo della “guerra fredda”, conseguenza della Seconda guerra mondiale, e la “ricostruzione” sociale politica economica che si manifestava in ogni angolo del pianeta. I simboli che passano per il cinema, con Marlon Brando e James Dean, la musica di Presley prima e di Dylan e i Beatles poi, segneranno la cornice di una stagione che stravolgerà comportamenti e aspirazioni. La protesta contro la guerra in Vietnam poi unirà le coscienze a livello internazionale e niente sarà più come prima… L’incontro con l’autore ci permette di ripercorre tutto questo, fino a planare anche nella Valle Caudina e nel Sannio beneventano, in cui non tarderanno ad arrivare gli echi delle chitarre elettriche e degli slogan pacifisti. Concludono il lavoro un fondamentale e puntuale corredo fotografico che restituisce visivamente l’atmosfera del tempo, delle appendici particolarmente utili che definiscono strumenti musicali, festival, generi musicali, notizie biografiche e un glossario di approfondimento per non perdersi nulla di quegli anni, il tutto impreziosito anche dalla copertina di due artisti di livello internazione come “Perino & Vele”.

E’ un lavoro che colloca con precisione e chiarezza i cambiamenti di cui la musica sarà protagonista sia dal punto di vista delle sonorità che dei comportamenti. Analizzando i processi e i fenomeni storici e sociali è sempre difficile prendere rigidamente delle date come riferimento, però forse in questo caso possiamo dire che il 1954 è un anno particolare in cui avviene qualcosa di nuovo nel mondo della musica……

Senz’altro… il 1954 è un anno particolare che segna l’inizio di tantissime cose e non solo nel mondo della musica. Ma iniziamo con la musica. Lo spunto di partenza per la nuova musica dei giovani lo offrì nel 1954 un film di Richard Brooks, Blackboard Jungle (letteralmente “Giungla di lavagne”), da noi ribattezzato Il seme della violenza; una canzone ne accompagnava i titoli di testa: era Rock Around the Clock, scritta nel 1952 da Max C. Freedman e James E. Myers ed incisa nell’aprile 1954 da Bill Haley and his Comets, ispirandosi ad un vecchio motivo di Sonny Dae. Nello stesso anno Haley riprendeva anche un successo del musicista nero Joe Turner: Shake, Rattle And Roll (scuotiti, agitati, rotola). E fu l’atto di nascita del Rock’n’roll, ma anche l’inizio di una vera e propria presa di coscienza da parte dei giovani.
Nello stesso 1954 andarono in onda nel nostro paese Le prime trasmissioni della Rai che svolse l’importante funzione di perfezionare l’unificazione linguistica delle classi popolari, un processo in corso da oltre un secolo e già portato avanti dalla stampa popolare, dal cinema e dalla radio
Sempre nello stesso anno già avevano luogo con Ghigo Agosti (da molti considerato il padre del rock italiano) le prime manifestazioni pubbliche di un rock’n’roll autoctono. Arriva anche il disco microsolco a 45 giri, la radio a transistor e i jukebox, che, strategicamente piazzati nei bar, negli stabilimenti balneari, nei locali pubblici, diventarono strumenti d’uso corrente che consentivano congiuntamente l’ascolto musicale e il ballo.

Il rock’n’roll arriva in Italia in pieno “boom economico”, in che contesto si va a inserire?
Il rock’n’roll, non sarà solo una tendenza musicale, bensì una sommatoria di atteggiamenti esistenziali che vincolavano a riesaminare i modi e luoghi identitari dei giovani italiani, assieme alle più ordinarie consuetudini di vita. Il clima della ricostruzione urbana e industriale che aveva investito la vecchia Europa in frantumi esigeva, dopo tutto, che si procedesse nel compito con scadenze rigorose e pressanti, secondo il costume operativo frenetico ed efficientistico dell’ambiente di lavoro americano, dove, non a caso, erano maturate per prime le esperienze più significative delle catene di montaggio.
L’ostilità dei ceti dominanti ai nuovi generi musicali prese, di volta in volta l’aspetto di una difesa a oltranza della grande tradizione musicale italo- napoletana, melodica e strappacuore, asserragliata e agguerrita sulla linea del Piave dei grandi festival nazional-popolari (Sanremo e Napoli); oppure si erse a baluardo protettivo (e interessato) del mondo giovanile, che rischiava di assimilare, insieme ai nuovi moduli espressivi musicali, anche il pessimo esempio delle bande di teppisti e la sterile e rabbiosa protesta della “gioventù bruciata”. Ma suscitava apprensione presso la nostra classe dirigente una certa allusione insita nella nuova musica e, per conseguenza, il comportamento dei giovani che si mostravano sempre meno proclivi a recepire i criteri di comportamento fino ad allora generalmente accettati.

Il confronto generazionale irrompe e trova nei ritmi della nuova musica un volano per accelerare le distanze tra genitori e figli?
La vera rottura operata dal rock’n’roll avvenne sul piano dell’atteggiamento comportamentale prima ancora che nella musica stessa. Correvano anni gravidi di tensione per l’intera società americana, della quale il film Fronte del Porto (On the Waterfront, 1954, regia di Elia Kazan) con Marlon Brando mise a nudo tutta la sua irrisolta problematica, che era l’individualismo statunitense di una vecchia generazione e la palese lotta di un’altra, emergente, pronta a contrastarla, fino a diventare la nuova protagonista. Era quella una società turbata dallo spettro della “guerra fredda”, governata da una classe dirigente ancora segnata dai sacrifici della guerra e molto poco incline a concedere ai giovani il divertimento, la spregiudicatezza dei costumi, la spensieratezza a lei a suo tempo negata. In quegli anni il rock stava tumultuosamente pullulando dentro questa società bisognosa di nuovi simboli e nuovi eroi, in cui tutti i ragazzi potessero identificarsi. Ma, stranamente, il rock si è mostrato capace di coinvolgere e di influenzare anche le due o tre successive generazioni, fino ad oggi.
L’Italia del dopoguerra assistette alla penetrazione sempre più intensa e arrembante di modi e di stili musicali fortemente ritmati, che conferivano una percezione intensa di libertà e di sprigionamento (erotico-sessuale) del corpo attraverso i passi, le posture e le figure del ballo, che fu una delle attività del tempo libero e di sfogo più praticate e popolari, tanto in città come in provincia. Dagli Stati Uniti, con l’orchestra di Glenn Miller ci arrivò il ritmo del boogie-woogie, accompagnato dal cha-cha-cha, dal bajon, dal mambo e da altri ancora.

Alcuni simboli come il Juke Box, il bar, la canzone dell’estate, i nuovi balli, in Italia saranno presenti, tra l’altro riportate poi anche in tanti film che hanno ritratto quel periodo…
Fenomeni apparentemente di piccolo conto, verificatisi già negli anni Cinquanta, come juke-box e flipper (le cosiddette “diavolerie americane” che secondo la maggioranza degli italiani allontanavano i giovani dallo studio e dal lavoro), Coca-Cola, chewing gum, boogie-woogie, jazz e rock and roll, come pure l’uscita serale delle ragazze da sole, una moda maschile e femminile anticonformista (magari fatta in casa), l’appropriazione della notte come momento di incontro e di svago, la canzone “nera” francese, la motocicletta tramutata in scooter e soprattutto i blue-jeans (i calzoni all’americana o di tela blue), costituiscono in realtà la spia del malessere della gioventù postbellica e delle grandi trasformazioni antropologiche in corso, il cui primo esito appariscente è quello di fornire una rappresentazione dello status giovanile come “a sé stante”: con proprie caratteristiche quasi di classe, dove le differenze socio-culturali, a fronte delle imponenti trasformazioni politiche, economiche e di costume in corso, perdono continuamente importanza.
Il giovane degli anni Cinquanta tenta insomma di porsi “fuori controllo”, sia dalla famiglia che dalla società con le sue emanazioni. Giorgio Bocca in un articolo sull’«Europeo» del 20 aprile 1958 annota che “Un flipper val più che un comizio”, mentre Luigi Locatelli, sul «Giorno» del 30 agosto dello stesso anno, segnala che “I flippers sono sotto accusa. I padri di famiglia, professori, maestri, capi d’organizzazione filantropiche giovanili inviano ai questori di numerose città petizioni e proteste contro i bigliardini elettrici americani”. A Genova come a Padova, il questore aderisce all’appello e li proibisce. Nello stesso periodo seguono analoghi decreti in altre città e in alcune scuole viene proibito l’uso dei blue-jeans.

Arriva poi la stagione del beat, i complessi proliferano dappertutto, il fenomeno delle cover sarà un segno distintivo in particolare per l’Italia…
La transizione fra anni Cinquanta e Sessanta costituisce un momento di grande respiro per la canzone italiana. Maturano in quegli anni artisti di grande pregio e quasi contemporaneamente nasce la “stagione dei complessi”, che nel giro di pochi anni mandarono in soffitta le grandi orchestre di musica leggera.
Come pionieri del beat italiano vanno ricordati: I Fratelli Reitano (anche I Fisici o Troupe Reitano), complesso composto dai cinque fratelli di Mino (Beniamino) Reitano: nascono nel 1957 accompagnando il giovane Mino nelle tournée all’estero, suonando addirittura allo «Star Club» di Amburgo in contemporanea con uno sconosciuto complessino di Liverpool poi passato alla storia col nome di The Beatles…, i Samurai di Livorno, i Campioni, che si distinguono come gruppo accompagnatore di Tony Dallara, apparendo con lui nel film I ragazzi del juke-box del 1959, i Giovani Giovani, gruppo accompagnatore di Pino Donaggio, i Novelty, sorti nel 1960 e capitanati da Fausto Leali, al cui nome è legato, nel 1967, A chi, la versione italiana di Hurt, brano americano del 1954 di Crane-Jacobs, già riportato al successo nel 1961 da Timi Yuro.
A questi complessi, fecero seguito, attorno alla metà degli anni Sessanta, altre importanti band. Da ricordare i Rokes e l’Equipe 84. Vanno poi ricordati, tra gli altri, i Nomadi, i Pooh, i Primitives, i Corvi, i New Dada, i Gens, i Ribelli, Gian Pieretti, Ricky Gianco, Riki Maiocchi, Mauro Lusini, i Camaleonti, i Dik Dik, gli Alunni del Sole, i Giganti, Ghigo (Mister Anima), i Quelli, Le Orme, i Ribelli. Adriano Celentano diede vita a Milano al «Clan», casa discografica per lanciare nuovi cantanti ed autori. Mancando un vero e proprio stile riconoscibile come italiano, da noi le cover significarono la quasi totalità delle canzoni negli anni Sessanta, soprattutto con la musica beat. La cover era più o meno fedele al brano originale, il cui testo poteva essere tradotto quasi alla lettera o, al contrario, completamente stravolto per esigenze di mercato, per adeguarlo alle caratteristiche di un esecutore italiano o per aggirare eventuali censure; anche l’arrangiamento poteva differire dall’originale, contribuendo non poco a differenziare la versione italiana dal suo prototipo straniero.

Cambiamenti anche sul versante sociale, muta l’aspetto, capelli diventano più lunghi, la richiesta ideale più forte, si va via da casa, si cerca di vivere più collettivamente tante esperienze, mentre i giornali perbenisti puntano il dito sull’intraprendenza dei comportamenti sessuali e sull’uso di droghe
Gli studenti cominciano a riempire le piazze: sono loro a manifestare davanti al consolato di Spagna contro la condanna di Jorge Conill Valls (giovane anarchico spagnolo condannato a morte dal tribunale militare di Barcellona per attività antifranchista) nell’ottobre 1962; sono loro, studenti comunisti, radicali e repubblicani, ad animare a Milano (sempre nell’ottobre 1962) la settimana di mobilitazione per Cuba al grido di Cuba sì, yankees no. Questi giovani, che «Quaderni piacentini» definisce “estremisti”, avevano manifestato in primo luogo il proprio sdegno, la propria insofferenza nei confronti delle istituzioni, che si traducono in un disagio e in una esasperazione che trovano sfogo concreto ed emozionale nella protesta e negli scontri di piazza. In questa prospettiva si crea pure una saldatura di interessi e di obiettivi tra studenti e giovani operai, nella medesima opzione di iniziativa estremistica e di piazza. Progressivamente si fa spazio l’idea dell’emancipazione della donna da modelli culturali che la vedevano relegata a ruoli esclusivamente intrafamiliari. La cannabis comincia a diffondersi, canna, spinello, joint diventano termini più frequenti. Nel 1969 fece la comparsa in Italia anche l’Lsd, sull’onda delle fumose e improbabili ideologie psichedeliche, spesso accreditate nell’ambito dei musicisti.

Con Elvis Presley nella musica e James Dean nel cinema i giovani cominciano a rispecchiarsi in quei nuovi modelli paventati e operano continui atti di ribellismo, con il beat, il rock, la nuova musica comincia a cantare anche con le parole, con i testi, le aspirazioni della nuova generazione (Dylan, Joan Baez), ci si comincia a schierare, a far parlare e crescere la coscienza, in questo, l’opposizione alla guerra in Vietnam sarà un collante planetario
Gli anni Sessanta hanno visto la più importante svolta della musica leggera del ventesimo secolo, anche, crediamo, in relazione al presente, poiché la musica rock e pop odierna è senza alcun dubbio una estensione, prosecuzione e, spesso, citazione, della musica nata in quegli anni e poi evoluta verso i territori della musica sperimentale negli anni Settanta. Da quegli anni il rock, per i tanti suoi banditori, è diventato sinonimo di libertà e da allora non ha mai cessato di rivendicare questo ruolo. Il rock propone che la libertà conquistata dai singoli diventi libertà di tutti; pertanto questo genere musicale si è qualificato come valido fiancheggiatore delle tante battaglie per i diritti civili e per una diversa qualità della vita singola e associata.
I nuovi corifei del rock hanno cantato la libertà, anche se in maniera diversa da Bill Haley, Chuck Berry, Little Richard, che mescolavano per la prima volta apertamente cultura bianca e nera, mettendo in campo, per un pubblico di giovani, una musica che equivaleva a una cultura di nuova composizione, nel senso del comportamento e dell’espressione diretta. Parliamo insomma dei vari Frank Zappa, Joan Baez, Janis Joplin, Jefferson Airplane, Grateful Dead, Crosby, Stills & Nash a cui si unì poi Neil Young, e tanti altri. Sono tutti compositori di brani che sono entrati a far parte della cultura popolare, di uno straordinario canzoniere che raccoglie ormai migliaia di titoli; sono autori di canzoni che in origine non erano propriamente “politiche” ma lo sono diventate nell’uso quotidiano, cantate e suonate da innumerabili voci e chitarre in ogni angolo del mondo.
La voce più significativa è stata sicuramente quella di Robert Zimmerman (in arte Bob Dylan, in omaggio al poeta gallese Dylan Thomas) e non solo perché fu il primo a virare verso una musica ricca di contenuti.
La musica di Dylan favorì, in un certo senso, la ribellione al conformismo politico-sociale e contribuì ad ispirare tutti i grandi temi del dissenso di quegli anni nella società americana: dal disarmo, al razzismo, fino a culminare nelle proteste per la guerra in Vietnam, che coinvolgerà, a partire dal 1963, in una continua escalation, queste giovani generazioni fino al 1975. Il suo messaggio di opposizione militante venne fatto proprio da un’intera generazione, non soltanto di appassionati di musica, ma anche di intellettuali.

E’ il periodo dei Festival e dei grandi raduni, della politicizzazione definitiva dei movimenti giovanili, che poi dopo il Sessantotto avranno derive differenti per qualità e quantità…
Iniziava anche la stagione dei grandi raduni e festival rock, un altro fenomeno assai significativo della relazione tra i giovani e la musica negli anni Sessanta. Al «Golden Gate Park» di San Francisco si davano appuntamento, nel gennaio del 1967, 20 mila giovani; il 26 marzo, Lou Reed, Edie Sedgwick e 10 mila hippy si raccolsero a Manhattan per il «Central Park Be-In on Easter Sunday» e tre mesi dopo, dal 16 giugno al 18 giugno, si svolgeva il «Monterey Festival pop», segnando l’inizio della cosiddetta “Estate dell’amore”, che esplose due anni dopo con il «festival di Woodstock», celebrato da 500.000 giovani e destinato ad essere annoverato nelle pagine della storia della popular music come il più grande festival del genere mai tenuto.
Nello stesso anno, il 6 dicembre, ad Altamont, in California, furono invece presenti circa in 300 mila per ascoltare i Rolling Stones, Crosby, Stills, Nash & Young, Jefferson Airplane ed altri gruppi. Inizialmente annunciata come la «Woodstock West», il suo nome ufficiale fu «The Altamont Free Concert»; il servizio d’ordine fu affidato agli Hell’s Angels ma alla fine il bilancio fu disastroso: la diciottenne Meredith Hunter fu pugnalata a morte durante il concerto dei Rolling Stones. Sempre nel 1969 si era svolto il primo «Festival della canzone» all’isola di Wight.
In Italia si registravano già nel 1965 i primi concerti di musica beat. A Roma, il 30 gennaio, ad uno spettacolo musicale di giovani cantanti erano presenti 4 mila ragazzi; il mese successivo, all’«Eur», ce n’erano 15 mila per assistere ad una manifestazione con i Rokes, Celentano, Little Tony, Sergio Endrigo, Modugno e Rita Pavone. Al «Velodromo Vigorelli» di Milano, si dava vita ad altri due giorni di musica, sempre organizzati da «Ciao Amici»; subito dopo un’altra iniziativa, con circa 15.000 presenze, promossa questa volta da «Big», che vedeva presenti Rita Pavone, Gianni Morandi, Little Tony. Nella primavera del 1968, invece, al «Palaeur» di Roma si tenne il primo «Festival pop europeo» cui parteciparono, tra gli altri, gruppi della stazza dei Byrds e dei Pink Floyd.

Il testo dedica una sua parte importante alla Valle Caudina, a una sorta di laboratorio musicale di grande valore, che immediatamente toccherà le vette nazionali con gli innovativi Rolling’s, ma vivrà una stagione intensa, che regalerà musicisti di livello assoluto, molti dei quali in attività ad alti livelli
Per l’approfondimento dello specifico territoriale non ho potuto prescindere dalle coordinate storico-geografiche in cui la mia vicenda individuale si iscrive, calando nei due capitoli della seconda parte del libro le riflessioni sul quadro reale del Sannio beneventano e della Valle Caudina.
Non faceva eccezione al fenomeno della musica beat la Valle Caudina, in cui ci fu un incredibile pullulare di gruppi che fecero vivere un’indimenticabile stagione musicale al Sannio beneventano. Fra i vari gruppi dominava la scena quello dei Rolling’s, che vennero presi a modello, in misura più o meno accentuata, da tutte le altre formazioni nate nella Valle, fino al 1975-76, e che ebbero una importante ribalta nazionale, per la loro innovazione legata ad un convinto innesto dei fiati.

Infine, ma di grande importanza, la prefazione del professor Francesco Barbagallo che introduce a questa ricca e appassionante lettura
Essere presentati da Francesco Barbagallo, da uno dei più grandi storici italiani…, dal primo (usando testualmente parole di Roberto Saviano…) che ha inteso e studiato la camorra come fenomeno imprenditoriale… è per me il più bel “biglietto da visita”…

Enzo Cioffi, Cambia la musica nell’Italia che decolla. Società, giovani e sound dagli anni ’50 al ’68, Napoli, Pironti editore, 2010, pp. 382, euro 20.00

Enzo (Vincenzo) Cioffi è nato a Cervinara (AV) nell’anno di Rock Around the Clock (1954). Laureato in Scienze politiche, con studi e interessi in ambito storico e sociologico; è ideatore di “Nonsolorock Festival”. Giornalista pubblicista, è stato direttore responsabile del mensile socio-culturale ”Movimenti dell’Altra Irpinia” dal 1993 al 2000; è stato segretario politico Ds a Cervinara dal 1998 al 2001; è soprattutto antirazzista e pacifista. Già collaboratore, negli anni Ottanta, alle cattedre di Storia moderna, Storia contemporanea e Storia ed istituzioni dell’Europa Orientale della Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Napoli “Federico II”, è oggi coordinatore tecnico scientifico EP presso il Dipartimento di discipline storiche della medesima Università.

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