03.05.2015 - Füsch!

Füsch è un trio lombardo nato quasi per gioco nelle improvvisazioni tra Pierangelo Mecca (percussionista e multistrumentista) e Mariateresa Regazzoni (voce e tastiere), e in seconda battuta con la chitarra di Mario Moleri. La loro esplorazione inizia con “Corinto” (Jestrai, 2012), in magiche contaminazioni tra dream-pop e noise-rock.
Segue la trilogia, o meglio il discorso per atti, di “Mont CC 9.0”. Il primo atto (Jestrai, 2013) è un’applicazione della lezione della psichedelia, specie nei vocalizzi rifratti di “Cosmogenesi 9.0” e nella jungle acida di “Sbando alle macerie”, ma soprattutto “Catherine Deneuve”, 9 minuti di barrente motorik con trombe cosmiche, intenso e infinito, il loro apice. Il secondo (Jestrai, 2013) annovera la pulsante sospensione elettronica di “Peso piuma”, gli stridori industriali e i tocchi galattici di “Underground”, e il lento e rarefatto battito con canto mediorientale di “Stelle”.

Il terzo atto contiene ancora il poliritmo tribale, che duetta con un pattern di sintetizzatore – a loro volta sovrastati da un concerto per pianoforte e fischi -, di “Quadrifonia Lemon”, e il noir con carillon narcolettico di “La stanza dei funghi”.
Ma la band è vieppiù interessata a suonare… come una band, specie in una serie di canzoni post-rock eseguite con competenza ma senza fantasia: “Iuston” e “Il Gran Sasso” (con elettronica), “Il leader senza chiavi” (con archi sintetici), “Family Tree” (con scimmiottamenti grunge). L’ultima parte è ancora più innocua, una cover – “La convenzione” di Battiato -, e persino una chitarra acustica che strimpella mentre il sostrato di elettronica è ormai solo un fragile eco (“L’Ines atto finale”).

Il più facile, finora, della loro carriera. Manca la carica eversiva e la sfumatura aliena che li caratterizzava. I puzzle anti-armonici sono pochi e sbrigativi, prevalgono i numeri normali i cui ingredienti non collimano, come se un’intimidita Dagmar Krause si cimentasse con il noise-rock d’annata (gli Uzeda ci sono arrivati anni or sono). Nascosta in questo e negli altri due capitoli c’è, comunque, una pietra miliare del rock italiano, se si fa un best of delle gemme più inusuali.

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